Le dichiarazioni alla stampa di Gianfranco Fini subito dopo la sua, e di alcuni suoi colleghi, espulsione dal Pdl - partito che nel 2008 ha contribuito a creare.
31/07/10
29/07/10
L'appello di Nino D'Angelo: "SALVATE IL TEATRO DEL POPOLO"
Il TRIANON VIVIANI, “teatro del Popolo”, è un teatro a partecipazione pubblica della Regione Campania e della Provincia di Napoli, con alle spalle una lunga storia, non sempre nobile, infatti prima della gestione attuale è stato chiuso perché prima dagli allori e divenuto cinema a luci rosse e poi caduto nel degrado totale, ma oggi è in pieno splendore.
Si trova a Forcella, popoloso, povero e malfamato quartiere napoletano, che già per volere di qualcuno ha da poco perso un faro come Don Luigi Merola.
Nato nel 1911, quando era in pieno lustro ha contribuito incessantemente ad arricchire la cultura ospitando sul palcoscenico artisti come De Filippo, Viviani, Totò, Elvira Donnarumma e tanti altri ancora, divenendo nel seguito tempio della sceneggiata.
Facendo quasi una scommessa con se stesso “Portare al teatro chi non se lo poteva permettere”, Nino D'Angelo ne ha assunto la direzione artistica nel 2006, da allora si è prodigato in mille modi non solo diffondendo la nobile arte teatrale ma utilizzato questo mezzo quale strumento di conquista culturale per la gente, per tutta la gente, fino a farlo amare, e seguire, al punto che, unico in Campania, vanta più di 4.000 abbonati.
Non a caso uno dei suoi primi successi è stato quello di abbassare considerevolmente il prezzo degli abbonamenti per permettere a tutti di poter usufruire dei frutti del suo lavoro, a lui si deve il risultato di esser riuscito a trasformare veramente il teatro Trianon Viviani nel teatro del popolo.
Un sogno meraviglioso che oggi la cieca burocrazia e forse anche l'interesse di alcuni di togliere la possibilità di riscatto di una zona della città di Napoli che già deve pagare un tributo altissimo alla camorra e al malaffare, vuole schiacciare.
A chi giova togliere, uno dopo l'altra, tutte le speranze di rinascita sociale e formativa a questa gente?
Quali che siano le reali ragioni che oggi spingono la Regione e il Comune a rifiutarsi di saldare debiti e pagare mutui contratti oltre 10 anni fa, prima della gestione di Nino D'Angelo, condannando così il teatro al fallimento c'è da tremare al solo cercare una risposta sapendo che la mano che sta perpetuando questo abominio è politica ed istituzionale.
Regioni e Province che non si lesinano prebende e benefit per optional e spese sindacabili e che invece rifiutano di onorare gli impegni spingendo al fallimento una attività che è in positivo, mettendo così a rischio posti di lavoro di professionisti e operai affermati e validi tanto che, come già detto, che negli ultimi anni il numero di abbonamenti ha toccato quota 4.000, la domande che ci facciamo sono:
A cosa servono i fondi sociali non vengono destinati alla preservazione e diffusione della cultura e alla salvaguardia di posti di lavoro validi?
E' una storia già nota.
La mentalità camorristica ride di un sorriso amaro, il popolo piange.
Di seguito, la lettera-appello scritta dal direttore del teatro, Nino D'Angelo.
Salviamo il Trianon, teatro del popolo»
Giorni difficili per il Trianon Viviani, teatro che dirigo da qualche anno e che rischia di chiudere (pur avendo avuto nell’ultimo anno il numero di abbonati più alto di qualunque altro teatro pubblico della Campania), a causa di debiti pregressi e mutui non pagati -+-da parte dei soci Regione e Provincia ai quali abbiamo chiesto inutilmente vari incontri…
Finalmente ieri (25.07.2010) si sono presentati ma solo per portare l’idea inutile di fare del Trianon il terzo museo della canzona napoletana
Mi chiedo, perché proprio il Trianon che va benissimo dovrebbe essere cambiato?
Forse perché a Forcella quando qualcosa funziona bisogna annientarla, altrimenti la gente si abitua allo stare bene e non vuole più stare male.
Attenzione, onorevoli e assessori che si auto eleggono direttori artistici con idee che sono progetti già falliti stanno per uccidere il teatro del popolo, stanno per uccidere il diritto alla cultura per chi non ha avuto possibilità di farsela.
Hanno deciso il giorno dell’esecuzione: 20 settembre 2010, quando non ci sarà più tempo per fare il cartellone, presentato da me due mesi fa, che oggi ho capito che non si farà mai.
Mi stanno dimettendo, cercando un alibi bugiardo per farmi apparire inefficiente agli occhi di chi mi stima.
Ma io non sono poi così fesso, vengo dal poco, e, crescendo, ho imparato che quando vinci assai devono per forza farti perdere.
Ho accettato l’incarico di direttore artistico del Trianon quattro anni fa con immenso entusiasmo e con la passione di chi conosce i sentimenti… la posta era troppo alta: portare a teatro quella gente che per precarietà economica non ci poteva andare.
Giorno dopo giorno, passo dopo passo, con il lavoro umile di tanti, siamo riusciti a dare una luce nuova ad un quartiere difficile, famoso solo per i pacchi e la camorra.
Io invece qui ho capito tante cose: ho capito quanto male fa la solitudine, specialmente ai bambini che non hanno un metro quadrato di spazio dove correre e poi acchiapparsi per vincere un sorriso, perchè a casa non ridono mai.
Qui ho capito la ‘strumentalizzazione sociale’, pane quotidiano di tanti sciacalli, pseudointellettuali e finti assistenti disoccupati; tutti maestri di strada che non hanno vissuto la strada, difensori di deboli che non sono mai stati deboli, inventori di progetti senza capo ne’ coda, sovvenzionati prima ancora di essere inventati.
Qui ho capito che la libertà non esiste più per chi è stato dentro: riabilitato non lo sarà mai e continuerà a cercare di sopravvivere sperando che non l’arrestino a Natale… perché glielo ha promesso al figlio.
Qui ho capito che la coscienza non ci passa mai e la pazienza è stanca, proprio come il cuore di questo teatro.
Qui ho capito che il destino non esiste, ma che altri lo costruiscono per noi ogni giorno e noi non siamo mai noi, ma solo quello che gli altri vogliono che siamo.
Qui ho capito che l’ignoranza è una grande fonte per i potenti perché possono dire ciò che vogliono senza essere contraddetti. Qui ho capito quanto fa bene una bugia a chi ti chiede di aiutarlo a cambiare.
Qui ho capito che l’uguaglianza è un’utopia e che l’invidia è il sentimento che non farà mai decollare Napoli.
Qui ho capito che l’emarginazione sta nel sorriso disperato di ogni persona che non si è mai venduta.
Qui ho capito che non ci sarà mai un cambiamento, perché quelli che lo vogliono veramente sono talmente piccoli che alla prima offerta si venderanno ai grandi fregandosene dell’idealismo per cui hanno lottato.
Qui ho capito che tutti possono fare tutto, tanto “che ce vo’ ?!”.
Qui ho capito che la cultura non vogliono che sia un diritto di tutti.
Qui ho capito che un teatro pubblico con 4000 abbonati è meglio che chiude se no si infastidiscono i piccoli privati, quelli che prendono contributi da una vita e nessuno gli chiede mai il conto.
Per favore, ditemi che non ho capito niente!
Ditemi che non ho capito niente ma non distruggete per ‘colore’ o per un dispetto politico ciò che è stato fatto per questo quartiere grazie a un teatro…
Questo “Teatro” che solo oggi è degno di questo nome, pensato nei disegni di qualcuno per essere un giocattolino per borghesi nel cuore di uno dei quartiere più popolari di Napoli, invece diventato Teatro del Popolo nel vero senso della parola;
Teatro che il popolo ha chiesto, ha voluto, amato e ama!
26 luglio 2010
A presto!
Nino D'Angelo
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28/07/10
PERCHÉ LA CHIAMATE P3?
L'inchiesta che si sta sviluppando in questa calda estate e che porta all'attenzione di tutti il tentativo perpetrato dalla cosiddetta “cricca” di soverchiare il potere democratico è stata battezzata P3 ma questo nuovo nome purtroppo rischia di non far capire esattamente l'immensa portata eversiva che i piani dei nuovi potenti d'Italia tentano di portare a segno. E si, perché a voler ben vedere gli scopi di questo comitato d'affari delinquenziale poco si discostano da quelli della non troppo antica loggia Propaganda 2, conosciuta ai più come P2.
L'accusa che viene mossa ai nuovi “intoccabili nostrani” è di associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi. Il reato di associazione per delinquere è previsto dall'art. 416 del codice penale, il progenitore del 416 bis il famigerato delitto di associazione di tipo mafioso, e si realizza quando si costituisce un organizzazione stabile e strutturata atta a dirigere un modus operandi che non persegue la realizzazione di un solo delitto ma che tende ad instaurare un modo di fare illecito da reiterare nel tempo. La legge Anselmi, la legge 17 del 25/01/1982, è l'insieme di 6 norme nate per dare piena attuazione all'articolo 18 della Costituzione italiana in materia di associazioni segrete e che aveva come chiaro obiettivo lo scioglimento dell'associazione denominata Loggia P2.
Perché dunque chiamare questo tentativo di eversione P3 e non, più genuinamente, prosecuzione dei progetti della P2? Perché fa troppa paura o perché, un altra volta, si vorrebbero mescolare le carte?
La democrazia italiana è fortemente malata e cambiare il nome alle cose non aiuta a rendersi conto della reale rovinosa situazione nella quale siamo finiti. Diciamo a chiare lettere il nome della tremenda malattia da cui siamo afflitti e, forse, potremo tentare di trovare una cura al male senza continuare a tamponare solamente i sintomi.
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18/07/10
Magistratura politicizzata
di Michele
Come ci racconta Marco Travaglio nel suo Passaparola del 12 luglio 2010, per magistratura politicizzata bisogna pensare a quella parte di magistrati a disposizione di una commistione affaristica criminale e strettamente legati ad essa in una sorte di associazione segreta simile alla vecchia P2 di Licio Gelli, di cui facevano parte anche Silvio Berlusconi, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo.
Oltre alle notizie che riguardano le indagini sulla cosiddetta nuova P3, era già evidente che esiste una magistratura politicizzata, basti pensare al correntismo all’interno del Csm, ma che ci sia una magistratura ostile a Berlusconi è falso ed è evidente che non esistono "toghe rosse" che perseguitano Berlusconi. Anzi, se Berlusconi avesse trovato davvero le "toghe rosse" a Milano, la prescrizione per concessione delle attenuanti generiche (lodo Mondadori) e le assoluzioni con formula dubitativa (caso Medusa, processo Sme) potevano essere condanne definitive per il signor Berlusconi.
Inoltre, i processi si fanno sulla base di prove e quando le prove erano sufficienti per arrivare a condanna definitiva di Berlusconi (amnistiato 2 volte e prescritto 3 volte) ci sono stati vari interventi legislativi da parte del suo governo allo scopo di: rinviare processi attraverso legittimo impedimento, legittimo sospetto, lodo Schifani e Alfano poi dichiarati incostituzionali; bloccare l'acquisizione di prove con la legge sulle rogatorie; depenalizzare i reati commessi come il falso in bilancio; arrivare alla prescrizione riducendone i termini.
Ovviamente Berlusconi non è vittima di alcun complotto.
Infatti, è accertato, dalla sentenza definitiva della Cassazione, che Mills è stato corrotto per testimoniare il falso nell'ambito di due processi in cui era imputato Silvio Berlusconi (il processo per corruzione alla Guardia di Finanza e il processo dei fondi neri di All Iberian) allo scopo di “tenere fuori da un mare di guai” Silvio Berlusconi.
E’ accertato che il giudice Metta è stato corrotto dai legali di Berlusconi per strappare la Mondadori a De Benedetti.
E’ accertato, dal processo All Iberian 1, il finanziamento illecito di 22 miliardi di lire al PSI, denaro partito da fondi occulti della Fininvest per finire nei conti svizzeri del PSI di Craxi.
E’ accertato che alcuni finanzieri sono stati corrotti per far chiudere loro tutti e due gli occhi sulle irregolarità riscontrate nelle verifiche fiscali presso le aziende di famiglia Berlusconi; Massimo Maria Berruti e Salvatore Sciascia, che erano fiscalisti del gruppo Fininvest e prima ancora ufficiali della Guardia di Finanza, sono stati condannati in via definitiva in tale processo relativo alle tangenti alla Guardia di Finanza e poi hanno fatto carriera politica entrando in parlamento col partito di Berlusconi.
Appare evidente che non c'è un uso politico della giustizia ma c'è chi fa politica per impedire alla giustizia di compiere il suo corso legittimo e doveroso, denigrando e minacciando la magistratura attraverso un disegno eversivo per attentare all'autonomia e indipendenza della magistratura.
Come ci racconta Marco Travaglio nel suo Passaparola del 12 luglio 2010, per magistratura politicizzata bisogna pensare a quella parte di magistrati a disposizione di una commistione affaristica criminale e strettamente legati ad essa in una sorte di associazione segreta simile alla vecchia P2 di Licio Gelli, di cui facevano parte anche Silvio Berlusconi, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo.
Oltre alle notizie che riguardano le indagini sulla cosiddetta nuova P3, era già evidente che esiste una magistratura politicizzata, basti pensare al correntismo all’interno del Csm, ma che ci sia una magistratura ostile a Berlusconi è falso ed è evidente che non esistono "toghe rosse" che perseguitano Berlusconi. Anzi, se Berlusconi avesse trovato davvero le "toghe rosse" a Milano, la prescrizione per concessione delle attenuanti generiche (lodo Mondadori) e le assoluzioni con formula dubitativa (caso Medusa, processo Sme) potevano essere condanne definitive per il signor Berlusconi.
Inoltre, i processi si fanno sulla base di prove e quando le prove erano sufficienti per arrivare a condanna definitiva di Berlusconi (amnistiato 2 volte e prescritto 3 volte) ci sono stati vari interventi legislativi da parte del suo governo allo scopo di: rinviare processi attraverso legittimo impedimento, legittimo sospetto, lodo Schifani e Alfano poi dichiarati incostituzionali; bloccare l'acquisizione di prove con la legge sulle rogatorie; depenalizzare i reati commessi come il falso in bilancio; arrivare alla prescrizione riducendone i termini.
Ovviamente Berlusconi non è vittima di alcun complotto.
Infatti, è accertato, dalla sentenza definitiva della Cassazione, che Mills è stato corrotto per testimoniare il falso nell'ambito di due processi in cui era imputato Silvio Berlusconi (il processo per corruzione alla Guardia di Finanza e il processo dei fondi neri di All Iberian) allo scopo di “tenere fuori da un mare di guai” Silvio Berlusconi.
E’ accertato che il giudice Metta è stato corrotto dai legali di Berlusconi per strappare la Mondadori a De Benedetti.
E’ accertato, dal processo All Iberian 1, il finanziamento illecito di 22 miliardi di lire al PSI, denaro partito da fondi occulti della Fininvest per finire nei conti svizzeri del PSI di Craxi.
E’ accertato che alcuni finanzieri sono stati corrotti per far chiudere loro tutti e due gli occhi sulle irregolarità riscontrate nelle verifiche fiscali presso le aziende di famiglia Berlusconi; Massimo Maria Berruti e Salvatore Sciascia, che erano fiscalisti del gruppo Fininvest e prima ancora ufficiali della Guardia di Finanza, sono stati condannati in via definitiva in tale processo relativo alle tangenti alla Guardia di Finanza e poi hanno fatto carriera politica entrando in parlamento col partito di Berlusconi.
Appare evidente che non c'è un uso politico della giustizia ma c'è chi fa politica per impedire alla giustizia di compiere il suo corso legittimo e doveroso, denigrando e minacciando la magistratura attraverso un disegno eversivo per attentare all'autonomia e indipendenza della magistratura.
14/07/10
UN EXPO A MISURA DI ‘NDRINA
Comunicato stampa Comitato No Expo
Ormai solo gli struzzi o chi in malafede può continuare a difendere Expo 2015. Gli arresti di ieri non fanno che confermare un quadro che già tre anni fa era evidente: Expo è una grande opportunità per ‘ndrangheta e mafia, lo strumento ideale per lavare soldi sporchi e arricchirsi di profitti puliti.
In questi anni diverse inchieste della Magistratura hanno evidenziato il problema, solo Moratti, De Corato, Formigoni e il Prefetto sembrano non vederlo, preferendo distogliere l’attenzione dei milanesi, individuando di volta in volta pericolosi soggetti, cui rivolgere accuse e deliri securitari. Come se non bastasse, alla piovra criminale si somma la piovra politica, spesso affine alla prima come le indagini sembrano evidenziare, e in particolare il sistema di potere e clientelare che Formigoni e gli uomini della Compagnia delle Opere hanno in tutta la regione.
Oggi tutta l’operazione Expo si può dire sia gestita da uomini Cdo: da Sala, A.D. di Expo Spa, a Fiera, proprietaria delle aree, al tavolo Lombardia controllato da Formigoni, che si occupa di tutte le opere infrastrutturali, ai comuni più interessati all’evento (il sindaco a Rho, Masseroli l’uomo del PGT di Milano, i comuni della Brianza interessati da Pedemontana e altri progetti previsti in nome di Expo). La vicenda dell’acquisto delle aree, inoltre, rende ancora più chiaro che gli appetiti affaristici sono tanti e che s’intrecciano alle lotte intestine alla destra per le prossime elezioni amministrative. Appetiti ben evidenziati dalla dichiarazione del Sindaco Moratti, che lamenta l’assenza della città di Expo dal nuovo gioco Monopoli, in effetti sarebbe il posto più adatto in cui collocare la rassegna.
In questo contesto solo Boeri e il PD milanese continuano a reclamare soldi e attenzioni per Expo, forse perché devono salvare il proprio ruolo di archistar e la fetta di business per le Coop. Siamo al ridicolo, con la proposta di nuove aree dove fare la rassegna (da Arese a Porto di Mare) e con Tremonti che si erge a paladino degli Expo-scettici, dopo aver devastato scuola, università e ricerca per trovare i soldi per le grandi opere. Così come fa sorridere l’ingenuità di chi scopre solo oggi i rischi speculativi legati a Expo e propina un inutile referendum dal sapore elettorale, imbarcando chi continua a ritenere l’evento una grande opportunità per la città.
Solo un soggetto manca nella tragi-farsa: la popolazione della metro-regione Milano, coloro che pagheranno i costi per i guadagni di lorsignori. Sembra che Expo cali dall’alto e i soldi maturino nelle fantomatiche serre. Sappiamo bene che non è così, che la città sta già pagando i costi di Expo uniti e sommati a quelli della crisi. E che solo la lotta può ostacolare certe derive.
Allora, aspettando che i milanesi “salgano sui tetti” e difendano quel poco che resta da difendere di pubblico in questi territori e provino a fermare per sempre Expo, non ci resta che augurarsi un intervento del B.I.E., che togliendo Expo 2015 a Milano, ci eviti altre sciagure economiche, urbanistiche, democratiche.
05/07/10
LA CHIESA ORDINA “TOGLIETE LA SPERANZA A SCAMPIA”
Quando per le istituzioni le situazioni sociali diventano intollerabili e non si riesce più ad amministrarle, spesso si rivolge la propria speranza alla Chiesa. La Chiesa, grazie sopratutto al suo radicamento sul territorio e al suo intimo rapporto con la gente, spesso riesce a sopperire alle mancanze dello Stato. Ma anche quando si parla di «Chiesa» occorre distinguere tra i messaggi ufficiali che dalla tranquillità dei palazzi vengono emanati delle gerarchie ecclesiastiche; e i sacerdoti che vivono insieme alla gente comune condividendo con loro la miseria di un territorio.
E' il caso del parroco della chiesa di S. Maria della Provvidenza nel rione Don Guanella a Scampia, Napoli, un prete tutto pelle e ossa che sfodera un energia incredibile quando si tratta di proteggere i ragazzi e di contrastare non solo la mentalità mafiosa ma anche i camorristi stessi.
Si chiama Don Aniello Manganiello e dal 1994 ha fatto delle strade di Scampia e Secondigliano la sua casa. E si, perché lui non si limita ad officiare messa all'interno delle mura della sua chiesa, lui è per strada a portare speranza a chiunque ha la fortuna di incontrarlo. O almeno questo è quello che ha fatto senza risparmiarsi fino ad oggi, oggi che i vertici ecclesiastici hanno deciso che è meglio trasferire questo indomito prete lontano, da un'altra parte.
Normale avvicendamento dicono, decisione politica poiché ha fatto più lui con pochi e poveri mezzi piuttosto che tutte le amministrazioni cittadine messe insieme, si legge.
E la gente di Scampia? Chi ci pensa a loro? Chi glie lo spiega che le istituzioni, dopo averli abbandonati, ora allontana una delle poche speranze del quartiere perché gli causa imbarazzo e mette in luce le sue manchevolezze?
Ma partiamo dal principio.
Don Aniello Manganiello è un prete dell'ordine Guanelliano. Lo stesso anno in cui Don Peppe Diana viene barbaramente ucciso a Casal di Principe per il suo impegno nel salvare i giovani dalla camorra, lui accetta di diventare parroco di Scampia e Secondigliano, quartieri che non hanno bisogno di presentazioni per sapere che si tratta dell'inferno, territori malati tenuti in ostaggio dalla camorra. Da che è arrivato in questi luoghi Don Aniello non si è dato un attimo di sosta, non è mai stato con le mani in mano, non sarebbe stato possibile qui. Si è prodigato in mille modi per dare una reale e concreta alternativa ai giovani, l'hanno minacciato, boicottato, ma lui non si è mai fermato. Agli scissionisti e agli uomini del clan Di Lauro, che fino al suo arrivo non avevano avuto rivali nel predominio del territorio, don Aniello ha imposto caparbiamente la sua presenza. O gli sparavano un colpo in pieno volto, rischiando però di far scoppiare una sommossa da parte dei cittadini di cui ha saputo conquistare l'amore e il rispetto, o lo sopportavano cercando altre strade per liberarsi di lui. Non ci si aspettava che fossero proprio gli alti prelati a correre in soccorso dei camorristi levandogli questa spina dal fianco.
Don Aniello nel frattempo continua a tuonare dal pulpito facendo nomi e cognomi, durante l'omelia parla di pizzo e droga, rifiuta di dare la comunione ai camorristi. Ha organizzato una squadra di calcetto composta da scugnizzi che personalmente va a prendere per le strade del quartiere, ha messo in piedi un semiconvitto diurno per togliere i ragazzi dalla strada, aperto a chiunque ne abbia bisogno. Lui è quello che si dice “un uomo con le palle”, ha fatto (e lui vorrebbe tanto continuare a fare) quello che quasi tutti noi non avremo mai il coraggio di fare.
E allora perché? Perché?
La speranza che don Aniello ha dato ai ragazzi di Scampia non può essere a termine, non si può interrompere questo percorso che tanti risultati ha dato.
Non c'è burocrazia che tenga, se Don Aniello verrà trasferito a vincere sarà stata la camorra e a perdere, prima ancora della gente di Scampia e Secondigliano, sarà stata la chiesa, quella con la “c” minuscola. Avrà perso la fiducia ma avrà anche definitivamente smarrito l'intimo significato della dedizione verso il prossimo che invece Don Aniello così degnamente incarna.
Inaccettabile moralmente e socialmente, il trasferimento di Don. Anaiello Manganiello prete anti-camorra del quartiere di Scampia alla periferia di Napoli.
Inaccettabile perché Don Aniello è un uomo meraviglioso e un sacerdote che sta sapientemente insegnando la legalità e la moralità attraverso la religione e ponendo Dio ad esempio di tali valori e concetti di vita civile e cristiana. Di Don Aniello ne servirebbero migliaia in queste terre martoriate del male della criminalità organizzata.
Inoltre lui gestisce e partecipa a tanti progetti che portano la società civile di quella zona al riavvicinamento alle istituzioni e ai fondamentali valori della vita cristiana della legalità e della moralità.
UNISCITI AL CORO DI CITTADINI ONESTI della sua comunità e all'associazione (R)ESISTENZA ANTICAMORRA.
Don Aniello non si tocca, non ha ancora terminato il percorso di insegnamento intrapreso a favore degli abitanti di un quartiere come Scampia, i quali sono stati testimoni di conversioni di “camorristi” grazie proprio al Prete anti-camorra Don Aniello Manganiello.
Le autorità competenti valutino profondamente il danno sociale per la comunità di Scampia, causato da un eventuale allontanamento di Don Aniello.
DON ANIELLO NON SI TOCCA
Articolo originale
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03/07/10
CAMORRA INDECENTE, ASSASSINA DI BAMBINI
Simonetta, 10 anni; Luigi, 10; Nunzio, 2; Fabio, 11; Gioacchino, 1; Ciro, 16; Valentina, 2. E Annalisa, bellissima, aveva 14 anni, quando le piantarono una pallottola in testa.
La mafia non ha onore, i camorristi si possono forse vantare di incutere timore, ma questo non è onore. La camorra è sporca, indecente, la camorra è una lurida assassina, priva di ogni pietà anche per i bambini. Che onore o rispetto si può pensare di ottenere quando, davanti alle lucide pistole, a cadere sono dei bambini armati solo dei loro sogni e della speranza in quello che la vita gli avrebbe potuto regalare se un infame senza coraggio non li avesse uccisi? Una volta anche i camorristi ponevano dei limiti all’infamia di cui si macchiavano attenendosi alle cosiddette “leggi d’onore”, regole per le quali donne e bambini non venivano fatti oggetto della loro violenza selvaggia.
Oggi non è più così, anzi. I piccoli, da vittime accidentali cadute a causa di un “proiettile vagante”, oggi sono diventati anche un vero e proprio obiettivo dei folli raid messi in atto in questa nauseabonda lotta. Sono centinaia i morti innocenti ammazzati dalla camorra, troppi di questi sono fanciulli.
Simonetta Lamberti
Il 29 maggio 1982, quando venne barbaramente uccisa a Cava dei Tirreni (Salerno), Simonetta aveva appena dieci anni. La sua colpa, tanto grave da dover essere pagata con la vita, era quella di essere figlia di Alfonso Lamberti, allora procuratore capo della Repubblica in forze al tribunale di Sala Consilina. Simonetta, quel giorno di primavera inoltrata, tornava dal mare in compagnia del padre, la loro macchina venne affiancata da un altra con a bordo i sicari che fecero fuoco. Sbagliarono obiettivo. Il magistrato, nell’agguato, rimase solo ferito ma la piccola morì, raggiunta da un proiettile in pieno volto.
Luigi Cangiano
Luigi, dieci anni appena, rimase ucciso il 15 luglio 1982 nel Rione Siberia, vittima di un proiettile vagante. Il bambino in quel momento era intento a giocare con gli amici, non pensava di potersi trovare nel bel mezzo di un conflitto a fuoco ingaggiato tra la polizia ed una banda di spacciatori locali.
Nunzio Pandolfi
A Nunzio non è stato dato il tempo neppure di compiere due anni. Venne ucciso il 18 maggio 1990, a diciotto mesi di età, mentre si trovava nella casa della nonna. Due uomini a volto coperto fecero irruzione sfondando la porta e sparando all’impazzata, l’obiettivo dei sicari era Gennaro Pandolfi, padre del bambino e uomo di fiducia di Luigi Giuliano, il boss di Forcella oggi pentito. Il piccolo Nunzio, nel momento dell’incursione, era tra le braccia del padre, forse l’uomo sperava che alla vista del piccolo i killer non avrebbero sparato, così non fu. Gli assassini non si fecero scrupoli nel crivellare il corpo del piccino pur di colpire il loro bersaglio, padre e figlio rimasero uccisi e altri quattro familiari vennero feriti.
Fabio De Pandi
Fabio venne ucciso il 21 luglio 1991. Quel giorno era domenica e lui, undicenne con una vita ancora tutta da vivere, stava tranquillamente passeggiando in compagnia dei genitori e della sorellina per le strade del Rione Traiano, alla periferia occidentale di Napoli. Trovandosi sotto i colpi incrociati, sparati dalle bande avverse, il ragazzo tentò di ripararsi nella macchina dei genitori ma venne colpito alla schiena da una pallottola. Il colpo mortale in realtà era destinato a Mario Perrella, boss del clan del Rione Traiano oggi pentito. In seguito Amedeo Rey, un pregiudicato ritenuto vicino al clan Puccinelli, venne giudicato colpevole per l’omicidio del bambino.
Gioacchino Costanzo
Gioacchino venne ucciso dalla camorra a San Giuseppe Vesuviano (Napoli) il 15 ottobre 1995, quando non aveva ancora compiuto due anni. Il bambino si trovava in auto con il convivente della nonna, Giuseppe Averaimo, un pregiudicato venditore di sigarette di contrabbando che riteneva la presenza del bambino una sufficiente garanzia per evitare agguati. Morirono entrambi, per mano di qualcuno senza scrupoli ne dignità, sotto il fuoco impazzito delle armi.
Ciro Zirpoli
Ciro, figlio sedicenne di Leonardo Zirpoli, nel 1997 ha pagato a caro prezzo le scelte di vita del padre. Il ragazzo venne trucidato, a colpi di arma da fuoco, da due killer in moto e pochi mesi dopo la sua tomba venne profanata da alcuni vandali, il tutto per mandare un chiaro messaggio intimidatorio al padre, ex narcotrafficante e capo clan di Ercolano ora pentito, che con le sue rivelazioni stava contribuendo a svelare numerosi segreti sulle cosche e sui rapporti tra la malavita e organi istituzionali deviati.
Valentina Terracciano
Anche Valentina aveva solo due anni quando fu freddata, il 12 novembre 2000 a Pollena Trocchia (Napoli), colpita dalle pallottole mentre si trova nel negozio di fiori dello zio in compagnia della madre e del padre, che restarono a loro volta feriti . In realtà l’obiettivo dell’agguato di camorra era lo zio della bambina, Fausto Terracciano. Uno dei presunti killer della piccola Valentina, Giuseppe Castaldo del clan degli Orefice, era in quei giorni imputato nel processo per la morte di un altro bambino, Gioacchino Costanzo, ucciso cinque anni prima a solo 18 mesi. Castaldo era stato scarcerato poiché scaduti i termini della custodia cautelare, solo per questo ha potuto partecipare al nuovo raid assassino in cui ha messo fine alla vita di un altra piccola creatura.
Annalisa Durante
Annalisa era una bella quattordicenne, una pallottola l’ha centrata alla testa il 27 marzo 2004, a Forcella (Napoli). L’agguato in cui perì era in realtà mirato ad uccidere il rampollo Salvatore Giuliano, detto “ò russ”, nipote dell’ex capo clan Luigi Giuliano. Era sabato sera e Annalisa si trovava sotto casa con gli amici, il fato volle che in quel momento passasse in strada il giovane boss inseguito dai suoi aguzzini. Giuliano si accorse dei sicari e, per ripararsi dalle pallottole, si fece scudo con il corpo della ragazzina. Lei morì sul colpo, a lui vennero comminati 24 anni di reclusione.
Questi sono solo alcuni degli innocenti caduti per mano di chi non conoscerà mai il significato delle parole rispetto e ossequio e che invece avranno, per l’eternità, le persone che con infamia ha ucciso.
Articolo originale
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La mafia non ha onore, i camorristi si possono forse vantare di incutere timore, ma questo non è onore. La camorra è sporca, indecente, la camorra è una lurida assassina, priva di ogni pietà anche per i bambini. Che onore o rispetto si può pensare di ottenere quando, davanti alle lucide pistole, a cadere sono dei bambini armati solo dei loro sogni e della speranza in quello che la vita gli avrebbe potuto regalare se un infame senza coraggio non li avesse uccisi? Una volta anche i camorristi ponevano dei limiti all’infamia di cui si macchiavano attenendosi alle cosiddette “leggi d’onore”, regole per le quali donne e bambini non venivano fatti oggetto della loro violenza selvaggia.
Oggi non è più così, anzi. I piccoli, da vittime accidentali cadute a causa di un “proiettile vagante”, oggi sono diventati anche un vero e proprio obiettivo dei folli raid messi in atto in questa nauseabonda lotta. Sono centinaia i morti innocenti ammazzati dalla camorra, troppi di questi sono fanciulli.
Il 29 maggio 1982, quando venne barbaramente uccisa a Cava dei Tirreni (Salerno), Simonetta aveva appena dieci anni. La sua colpa, tanto grave da dover essere pagata con la vita, era quella di essere figlia di Alfonso Lamberti, allora procuratore capo della Repubblica in forze al tribunale di Sala Consilina. Simonetta, quel giorno di primavera inoltrata, tornava dal mare in compagnia del padre, la loro macchina venne affiancata da un altra con a bordo i sicari che fecero fuoco. Sbagliarono obiettivo. Il magistrato, nell’agguato, rimase solo ferito ma la piccola morì, raggiunta da un proiettile in pieno volto.
Luigi Cangiano
Luigi, dieci anni appena, rimase ucciso il 15 luglio 1982 nel Rione Siberia, vittima di un proiettile vagante. Il bambino in quel momento era intento a giocare con gli amici, non pensava di potersi trovare nel bel mezzo di un conflitto a fuoco ingaggiato tra la polizia ed una banda di spacciatori locali.
Nunzio Pandolfi
A Nunzio non è stato dato il tempo neppure di compiere due anni. Venne ucciso il 18 maggio 1990, a diciotto mesi di età, mentre si trovava nella casa della nonna. Due uomini a volto coperto fecero irruzione sfondando la porta e sparando all’impazzata, l’obiettivo dei sicari era Gennaro Pandolfi, padre del bambino e uomo di fiducia di Luigi Giuliano, il boss di Forcella oggi pentito. Il piccolo Nunzio, nel momento dell’incursione, era tra le braccia del padre, forse l’uomo sperava che alla vista del piccolo i killer non avrebbero sparato, così non fu. Gli assassini non si fecero scrupoli nel crivellare il corpo del piccino pur di colpire il loro bersaglio, padre e figlio rimasero uccisi e altri quattro familiari vennero feriti.
Fabio De Pandi
Fabio venne ucciso il 21 luglio 1991. Quel giorno era domenica e lui, undicenne con una vita ancora tutta da vivere, stava tranquillamente passeggiando in compagnia dei genitori e della sorellina per le strade del Rione Traiano, alla periferia occidentale di Napoli. Trovandosi sotto i colpi incrociati, sparati dalle bande avverse, il ragazzo tentò di ripararsi nella macchina dei genitori ma venne colpito alla schiena da una pallottola. Il colpo mortale in realtà era destinato a Mario Perrella, boss del clan del Rione Traiano oggi pentito. In seguito Amedeo Rey, un pregiudicato ritenuto vicino al clan Puccinelli, venne giudicato colpevole per l’omicidio del bambino.
Gioacchino Costanzo
Gioacchino venne ucciso dalla camorra a San Giuseppe Vesuviano (Napoli) il 15 ottobre 1995, quando non aveva ancora compiuto due anni. Il bambino si trovava in auto con il convivente della nonna, Giuseppe Averaimo, un pregiudicato venditore di sigarette di contrabbando che riteneva la presenza del bambino una sufficiente garanzia per evitare agguati. Morirono entrambi, per mano di qualcuno senza scrupoli ne dignità, sotto il fuoco impazzito delle armi.
Ciro Zirpoli
Ciro, figlio sedicenne di Leonardo Zirpoli, nel 1997 ha pagato a caro prezzo le scelte di vita del padre. Il ragazzo venne trucidato, a colpi di arma da fuoco, da due killer in moto e pochi mesi dopo la sua tomba venne profanata da alcuni vandali, il tutto per mandare un chiaro messaggio intimidatorio al padre, ex narcotrafficante e capo clan di Ercolano ora pentito, che con le sue rivelazioni stava contribuendo a svelare numerosi segreti sulle cosche e sui rapporti tra la malavita e organi istituzionali deviati.
Valentina Terracciano
Anche Valentina aveva solo due anni quando fu freddata, il 12 novembre 2000 a Pollena Trocchia (Napoli), colpita dalle pallottole mentre si trova nel negozio di fiori dello zio in compagnia della madre e del padre, che restarono a loro volta feriti . In realtà l’obiettivo dell’agguato di camorra era lo zio della bambina, Fausto Terracciano. Uno dei presunti killer della piccola Valentina, Giuseppe Castaldo del clan degli Orefice, era in quei giorni imputato nel processo per la morte di un altro bambino, Gioacchino Costanzo, ucciso cinque anni prima a solo 18 mesi. Castaldo era stato scarcerato poiché scaduti i termini della custodia cautelare, solo per questo ha potuto partecipare al nuovo raid assassino in cui ha messo fine alla vita di un altra piccola creatura.
Annalisa Durante
Annalisa era una bella quattordicenne, una pallottola l’ha centrata alla testa il 27 marzo 2004, a Forcella (Napoli). L’agguato in cui perì era in realtà mirato ad uccidere il rampollo Salvatore Giuliano, detto “ò russ”, nipote dell’ex capo clan Luigi Giuliano. Era sabato sera e Annalisa si trovava sotto casa con gli amici, il fato volle che in quel momento passasse in strada il giovane boss inseguito dai suoi aguzzini. Giuliano si accorse dei sicari e, per ripararsi dalle pallottole, si fece scudo con il corpo della ragazzina. Lei morì sul colpo, a lui vennero comminati 24 anni di reclusione.
Questi sono solo alcuni degli innocenti caduti per mano di chi non conoscerà mai il significato delle parole rispetto e ossequio e che invece avranno, per l’eternità, le persone che con infamia ha ucciso.
Articolo originale
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01/07/10
A chi serve la “legge bavaglio”?
di Michele
Se il ddl sulle intercettazioni, già approvato dal Senato, passerà senza modifiche anche alla Camera, impedirà ai cittadini di conoscere quanto di grave avviene nella gestione dei fondi pubblici, si metterà oblio sui rapporti tra politica, massoneria e mafia, cadrà definitivamente il silenzio su quella commistione tra stato e antistato in cui poteri occulti e deviati esercitano il controllo sulle istituzioni per dare parvenza di legalità ad affari illeciti e atti criminali.
Infatti, se fosse stato già legge, nulla sapremmo:
sul mandato di arresto a Cosentino per associazione camorristica;
sul sistema di appalti e sesso alla Tarantini;
su casa Scajola, che sarebbe ancora ministro;
sugli imprenditori che ridevano la notte del terremoto a L’Aquila;
sulle indagini relative all’eolico in Sardegna che riguardano Verdini;
sulle pressioni di Berlusconi all’Agcom per far chiudere Annozero;
sulle indagini per la morte di Stefano Cucchi;
sui rapporti con la ‘ndrangheta dell’ex senatore Di Girolamo;
sull’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro accusato di fare la talpa.
Inoltre, con estremo ritardo avremmo saputo di Calciopoli, degli scandali finanziari sulle scalate bancarie, dei casi Cirio e Parmalat.
Berlusconi avrebbe voluto addirittura un testo più liberticida perché le intercettazioni telefoniche hanno portato a conoscenza delle raccomandazioni chieste da Berlusconi a Saccà, del tentativo di corruzione di senatori della maggioranza che nel 2007 sosteneva il governo Prodi; inoltre, si è saputo delle cene e della notte trascorsa a palazzo Grazioli dalla registrazione fatta dalla D’Addario, cosa che non sarà più consentito fare di nascosto.
Di seguito l’elenco delle intercettazioni telefoniche che riguardano Berlusconi reperibili in rete (forse ancora per poco tempo).
Nella seguente telefonata tra Berlusconi e Agostino Saccà, allora direttore di Rai Fiction, Saccà chiede a Berlusconi un intervento presso i suoi alleati politici per mettere a posto la situazione nel consiglio di amministrazione della Rai, Berlusconi risponde che provvederà.
Berlusconi chiede a Saccà di mandare in onda una trasmissione voluta da Bossi, e Saccà si lamenta del fatto che ci sono persone che hanno diffuso voci su questo accordo provocandogli problemi.
Berlusconi chiede a Saccà di segnalare le attrici Elena Russo e in particolare Evelina Manna, quest’ultima gli garantirebbe il voto di scambio in senato (ricordiamo che il governo Prodi in Senato si reggeva su una maggioranza di due o tre senatori a vita) perché sta “cercando la maggioranza in senato”, cioè sta cercando di comprare qualche senatore della maggioranza che sosteneva Prodi.
In un’altra telefonata tra Berlusconi e Saccà, Berlusconi parla del ricatto di A.N. e Lega all’UDC che hanno disdetto l’accordo con lui, per questo Berlusconi li definisce "straccioni" e alla fine aggiunge: "purtroppo ho a che fare con questa gente".
Berlusconi chiede di nuovo di sistemare Elena Russo, Saccà lo rassicura che può aiutarlo e cercherà nel frattempo di farle fare qualche lavoretto prima di un altro lavoro le cui riprese erano previste in un tempo più lontano.
Berlusconi parla di Antonella Troise in un una telefonata con Saccà, in cui dichiara che Antonella Troise sta andando in giro a dire cose pazzesche su di lui tanto da considerarla pericolosa, perciò chiede a Saccà un suo intervento invitandolo a chiamarla.
Berlusconi raccomanda Evelina Manna anche in un’altra circostanza, durante la telefonata col produttore televisivo Guido De Angelis invitandolo a chiamarla personalmente.
In un’altra telefonata tra Berlusconi e Guido De Angelis, Berlusconi dice che parte in serata per Roma perché gli hanno chiesto di parlare l'indomani alla Cisl e, siccome Bonanni della Cisl controllava tre senatori che gli sarebbero serviti per far perdere la maggioranza a Prodi in senato, doveva essere presente.
In una telefonata tra Berlusconi e Dell’Utri, Berlusconi gli comunica che Vittorio Mangano ha messo una bomba da "un chilo di polvere nera", cioè poco esplosivo, appena sufficiente per “farsi sentire”.
Nella telefonata tra Berlusconi e Craxi di fine agosto ’83, Craxi si lamenta con Berlusconi per la pessima accoglienza che Indro Montanelli, su “Il Giornale” di proprietà di Berlusconi, ha riservato al suo neonato governo.
Nella telefonata tra Berlusconi e Cuffaro (allora presidente della Regione Sicilia), Berlusconi comunica di aver parlato col Ministro degli Interni per la questione delle indagini e che tutto sta andando per il meglio. Si fa riferimento alle indagini su Cuffaro, accusato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui rapporti tra il clan di Brancaccio e ambienti della politica locale.
La telefonata tra Bruno Vespa e Salvatore Sottile, portavoce di Gianfranco Fini, ha come oggetto gli argomenti da trattare che vengono stabiliti dal conduttore insieme ai politici alleati di Berlusconi, e ovviamente la “scaletta” del programma è dettata secondo i gradimenti di Fini e Berlusconi.
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