19 luglio 1992, ore 16 58 minuti e 20 secondi; Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina muoiono in seguito all'esplosione di 100 chili di tritolo piazzati in una Fiat 126 parcheggiata in via D'Amelio sotto casa della madre del magistrato Borsellino.
Diciassette anni dopo un manipolo di persone si sono trovate nel luogo esatto del martirio ma non per piangere la morte di questi coraggiosi uomini, piuttosto per impedire che il loro sacrificio venga dimenticato e così reso vano, soffocato sotto corone di fiori utili solo a nascondere quello che invece è giusto che si veda.Potremo parlare di una morte inutile solo se permetteremo che il lavoro svolto da questi eroi cada nell'oblio della memoria, rimarranno valorosi martiri della giustizia fino a quando ci sarà qualcuno che pretenderà di conoscere la verità sul lavoro che stavano svolgendo.
La verità non si presta ad essere interpretata o ad adattarsi alle necessità del momento, la verità è una ed inequivocabile e purtroppo sembra doveroso riconoscere che dopo diciassette anni dalla strage, la verità non è ancora stata detta.
Prima tra tutte le domande che cercano ancora risposta riguarda i veri mandanti della strage. Oggi sembra sussistere più di qualche dubbio sulle reali motivazioni che hanno portato alla decisione di questa barbara esecuzione.
Ci avevano detto che è stata una strage mafiosa.
Oggi abbiamo validi motivi per ipotizzare che sia stata una strage di stato.
La condanna a morte per i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è avvenuta in conseguenza della bravura professionale di questi due magistrati; ci stavano riuscendo, stavano finalmente portando a galla una realtà che ancora oggi, a distanza di tanti anni, alcuni sono terrorizzati alla sola idea che venga svelata.
Strana coincidenza, per chi crede ancora alle coincidenze, quella per cui proprio in questi giorni qualche cosa nel mare delle verità da nascondere sembra voler affiorare.
Strano il comportamento dei mezzi d'informazione che in merito a vicende importantissime che sono alla base del sistema su cui si è costruita la seconda repubblica non fanno il loro dovere informando ma bensì ignorano colpevolmente tutta la vicenda.
Prima tra le persone fermamente determinate a squarciare il silenzio che avvolge la faccenda a discapito della verità, è il fratello del giudice. Salvatore Borsellino, quasi senza voce per il tanto parlare, afferma senza troppi giri di parole: “mio fratello sapeva della trattativa tra la mafia e lo Stato e per questo è stato ucciso. La strage di via D'Amelio è una strage di Stato”.In effetti non si può non notare che con il passare del tempo aumentano e non diminuiscono i lati oscuri che circondano la vicenda. Sono troppe le domande lasciate senza nessuna risposta e le persone che si sono trovate domenica in via D'Amelio ha espresso con decisione la volontà di cominciare a sapere.
Vogliamo conoscere chi e perché diciassette anni fa ha negato l'autorizzazione al divieto di parcheggio in via D'Amelio nonostante tutti sapessero che dopo la strage di Capaci l'attentato omicida per zittire definitivamente Paolo Borsellino sarebbe arrivato inesorabile da li a poco.
Per quale motivo non si sono approfondite le indagini fermandosi subito quando si è pensato di aver individuato i Corleonesi come gli unici colpevoli dell'esecuzione?
E' cosa risaputa che i servizi segreti siano invischiati nella faccenda. Comprendiamo perfettamente che queste attività non sarebbero più segrete se venissero divulgate le notizie concernenti le loro indagini, chiediamo solo di sapere a quali risultati sono approdati dopo 17 anni di lavoro.
Pretendiamo di conoscere cosa ne è stato dell'agenda rossa dove il magistrato era solito appuntare ogni minimo particolare degno di rilevanza che emergeva dal suo lavoro. Sappiamo che il tenente Arcangioli è stato visto allontanarsi da via D'Amelio subito dopo l'attentato con la borsa che la conteneva ma da allora si ignora totalmente il destino che ha avuto.
Perché a distanza di tanti anni e proprio in un momento in cui lo stato non è nella posizione di poter garantire più nessuna certezza a certi loschi personaggi; Riina, il figlio di Ciancimino e altri cominciano a parlare di un altra verità usando toni molto simili a quelli di una minaccia.
Ma al di sopra di tutto esigiamo che cessi immediatamente il silenzio da parte degli uomini dello stato che sono coinvolti a vario titolo in questa vicenda. E' loro assoluto e primario dovere rendere conto del proprio operato istituzionale al popolo sovrano. E' inaccettabile che prosegua questo assordante silenzio che, giorno dopo giorno, assume sempre più i contorni di un atto omertoso.
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