11/08/09






Dell'Utri: il fido collaboratore (prima parte)


Tutto quanto sotto riportato si evince dal procedimento della II sezione penale di Palermo a carico di Marcello Dell'Utri, pubblicata l'11 novembre del 2004

Marcello Dell’Utri, nel 1961, all’età di venti anni, lascia Palermo per andare a studiare alla Statale di Milano dove conosce Silvio Berlusconi, con il quale fraternizza fin dal primo giorno. Nel 1966 viene assunto alla Cassa di Risparmio delle Province Siciliane. Negli anni ’64-’65 lavora presso la Edilnord come segretario di Berlusconi. Una volta rientrato a Palermo, Marcello Dell’Utri riprende i passati rapporti con la società calcistica Bacigalupo. E’ proprio nell’ambito di questa società calcistica che avrebbe avuto origine la conoscenza tra Dell'Utri, Cinà Gaetano e Mangano Vittorio la cui collaborazione era stata richiesta per tutelare i giocatori delle squadra quando giocavano in trasferta sui campi dei quartieri più degradati di Palermo dove la loro incolumità fisica poteva essere messa in pericolo dalla violenta “animosità” dei tifosi sostenitori delle squadre avversarie. La Bacigalupo era costituita dai ragazzi del Gonzaga (legato al A.C. Milan).

All’udienza del 29 novembre 2004, Marcello Dell’Utri dichiarò: “Quando passa lui ( Silvio Berlusconi, n.d.r. ) da Palermo, nell’agosto del 73, mi telefona e mi dice “sono qui con la mia barca , mi farebbe piacere fartela vedere; cosa fai?” Io ho detto: vengo subito, e sono andato al porto. Berlusconi mi disse: ma perché non vieni con noi? Ma io risposi che lunedì dovevo essere in banca. Berlusconi disse: ma no, ma cosa fai in banca, vieni a Milano, io a Milano sto facendo grandi cose , sto costruendo una città importante, Milano 2, ti do la casa, ti do l’alloggio, vieni su, ho bisogno di circondarmi di amici, di persone che conosco, di cui mi posso fidare .
Questa proposta veniva accolta di buon grado da Dell’Utri che presentò formalmente le sue dimissioni alla banca. Poco dopo Berlusconi acquistava la villa di Arcore e affidava a Dell'Utri l’incarico di curarne il restauro. A seguito dell’inizio del rapporto di lavoro di Dell’Utri, quale segretario personale di Berlusconi, segue l’arrivo ad Arcore di Mangano Vittorio, assunto proprio per l’intermediazione dello stesso Marcello Dell’Utri. In realtà, nel corso della istruzione dibattimentale sono stati acquisiti numerosi elementi probatori che dimostrano la stabile presenza di Mangano a Milano già prima del trasferimento di Dell’Utri. Era Mangano ad accompagnare a scuola i figli di Silvio Berlusconi, ad implicita conferma del ruolo di “garanzia” e “protezione” svolto dal predetto. In quegli anni Mangano aveva una fitta trama di rapporti con personaggi di spicco di cosa nostra e operanti nel milanese.
Francesco di Carlo, uomo d’onore della famiglia di Altofonte, di cui ha fatto parte fin dagli anni ’60 dichiara di aver conosciuto Dell'Utri tramite Gaetano Cinà. Di Carlo testimonia che fu invitato ad un pranzo con Silvio Berlusconi, cosa che a suo dire era normale a quei tempi (1974) in cui un industriale spesso si rivolgeva a cosa nostra per garantire la tranquillità dell'azienda e della famiglia. In quell'occasione fu consigliato a Berlusconi di far proteggere la sua famiglia da Vittorio Mangano.
Sembra dimostrato che l'attentato alla Villa di via Rovani, di proprietà di Berlusconi, sia avvenuto a seguito di una richiesta estorsiva ricevuta da Berlusconi accompagnata dalla minaccia di sequestro del figlio. Le indagini espletate non evidenziarono concreti elementi che consentissero di individuare i responsabili di quel grave attentato; è risultato, invece, dal contenuto di conversazioni telefoniche intercettate circa 11 anni dopo, in occasione di un secondo attentato commesso in data 28 novembre 1986 ancora ai danni della stessa villa, che da parte di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri non vi fossero dubbi in merito alla riconducibilità dell’attentato del 1975 proprio alla persona del Mangano. Malgrado non si nutrissero dubbi in merito al responsabile, nessuna utile indicazione all’epoca dei fatti era stata offerta agli investigatori ma, al contrario, si era deciso addirittura di non denunciare direttamente l’attentato. Secondo la ricostruzione offerta in dibattimento dal teste Confalonieri, sarà proprio in concomitanza con queste minacce, subito dopo l’allontanamento di Mangano da Arcore, che Berlusconi, dopo essersi rifugiato all’estero per alcuni mesi con la sua famiglia, al suo ritorno si era premunito con un adeguato sistema di difesa privata.
Quanto sopra dimostra che prima di quel momento Silvio Berlusconi aveva ritenuto che la protezione della sua famiglia potesse essere adeguatamente garantita ed assicurata dalla sola presenza di Mangano a villa Arcore.

Per quanto riguarda i rapporti tra Dell’Utri Marcello e Mangano Vittorio anche dopo l’allontanamento di questi da Arcore, un primo riferimento si ricava dalle dichiarazioni dibattimentali di Calderone Antonino, uomo d’onore della “famiglia” di Catania fin dai primi anni ’60. Calderone ha riferito di essersi recato più volte a Milano negli anni ‘70 per motivi strettamente connessi alla sua attività all’interno del sodalizio mafioso. In una di quelle occasioni egli aveva avuto modo di incontrare più volte Vittorio Mangano, conosciuto qualche tempo prima e subito presentatogli come uomo d’onore. In una occasione successiva incontrò anche Marcello Dell’Utri, presentatogli dal Mangano come il suo “principale”.
La “mafiosità’” di Vittorio Mangano è fuori di dubbio e si ha prove anche di un suo attivo coinvolgimento in un importante traffico di stupefacenti.
Nel maggio 1980 Mangano veniva tratto in arresto ad Arcore, su segnalazione della Questura di Palermo, nell’ambito di una vasta operazione che vedeva coinvolti numerosi importati personaggi inseriti in “cosa nostra” palermitana; da questa indagine scaturiva il processo a carico di Spatola Rosario istruito dal dr. Giovanni Falcone. In questi procedimenti è stato messo in luce il ruolo di primo piano rivestito da Mangano quale insostituibile tramite di collegamento della mafia tra Milano e Palermo.
Esaminando il contenuto delle intercettazioni, il Tribunale di Palermo metteva in rilievo il fatto di come, in tutte le conversazioni, gli imputati, nell’intento di rendere incomprensibile l’oggetto dei loro accordi, avessero adottato quella terminologia criptica e convenzionale che risultava loro congeniale perché tipica e propria dell’attività commerciale svolta da ciascuno di essi. In particolare Vittorio Mangano aveva ritenuto di potere camuffare i traffici illeciti usando espressioni riferibili al commercio di cavalli. Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal dr. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni. Trattatasi dell’ultima intervista concessa dal magistrato prima di essere ucciso, il 19 luglio 1992, insieme a cinque uomini della sua scorta. In questa intervista il magistrato si soffermava sulla “personalità” di Vittorio Mangano, uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, e faceva espresso riferimento alle conversazioni telefoniche, intercettate dagli inquirenti, nelle quali il Mangano parlava di “cavalli”.
Alla persona di Mangano Vittorio e al suo attivo inserimento nella organizzazione criminale “cosa nostra” hanno fatto riferimento numerosi collaboratori di giustizia i quali hanno reso dichiarazioni anche sulla sua collocazione all’interno degli ambienti mafiosi allora operanti a Milano.



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