16/10/09





Giovanni Brusca: fu lo Stato a cercare il dialogo con la mafia


 
Il 21 maggio 2009 comincia l'audizione di Giovanni Brusca nell'ambito del procedimento a carico degli agenti segreti Mauro Obinu e Mario Mori. Brusca, detto "lo scannacristiani", è stato capo mandamento di San Giuseppe Jato, uomo da sempremolto vicino a Riina e Bagarella. Viene arrestato il 20 maggio 1996 e decide, in seguito, di collaborare con la giustizia.

Dichiarazioni rese da Brusca durante l'interrogatorio del pm antimafia Antonio Ingroia.
Brusca riconoscere di essere stato il reggente e capo mandamento di San Giuseppe Jato e di aver avuto ruoli di rilievo negli omicidi di Falcone, Chinnici e molti altri.
Riina e Brusca avevano tra loro un rapporto privilegiato, Riina era stato anche il padrino di iniziazione di Brusca, il rapporto si era incrinato solo poco prima dell'arresto di Giovanni Brusca (ndr avvenuto nel maggio 1996) quando venne a sapere che Riina stava organizzando la sua uccisione. Con Provenzano e Vito Ciancimino, invece, i rapporti erano sempre stati molto formali.
Viene descritto lo stretto rapporto che inizialmente esisteva tra Bagarella e Vito Ciancimino; per facilitare l'ascesa politica di Ciancimino furono commessi anche numerosi omicidi ad esempio Mattarella o Reina, il rapporto si incrinò nel 1994 quando Bagarella cominciò a sospettare che Ciancimino lo stesse tradendo.
In un periodo da collocarsi tra l'omicidio Falcone e quello Borsellino (ndr maggio 1992 - luglio 1992), Riina mostrò a Brusca tutta la sua soddisfazione per essere in procinto di raggiungere un accordo con alte personalità dello Stato. Era stato redatto un papello in cui erano elencate le richieste che la mafia avanzava in cambio della promessa della fine delle stragi. A questo scopo i primi contatti con gli uomini delle istituzioni avvennero dopo l'omicidio di Salvo Lima (ndr marzo 1992) quando molti uomini politici si presentarono al capo dei capi Riina per tentare di appropriarsi del pacchetto di voti che fino ad allora la mafia aveva garantito a Lima. In una nota di colore Brusca racconta che tra questi c'erano anche quelli che chiama “quelli della Lega Nord di Bossi”.
Nello stesso periodo si era aperto un altro canale di trattative con lo Stato, molto differente e di minor caratura. Il maresciallo Tempesta, braccio destro del generale Mario Mori, attraverso i mediatori Paolo Bellini e il Antonino Gioè (uomo d'onore di cosa nostra), chiese a Brusca di recuperare alcune opere d'arte trafugate dalla pinacoteca di Modena, in cambio avrebbero fatto alcune concessioni. Brusca chiese che il padre Bernardo, per Pippo Calò, Giuseppe Gambino e Giovanbattista Pullarà, tutti in quel momento agli arresti, potessero godere di benefici carcerari. Dopo aver consultato Mori il maresciallo Tempesta avanzò una controproposta che prevedeva gli arresti domiciliari solo per Bernardo Brusca ma a queste condizioni la mafia rifiutò qualsiasi compromesso.
Ritornando a parlare del papello Brusca dice che per far cadere le ultime resistenze da parte dello Stato ad accettare le esose pretese della mafia, fu progettato l'omicidio del direttore della DNA Piero Grasso. La strage non fu poi eseguita a causa di problemi logistici sorti in merito all'organizzazione pratica e avvenne la strage di via D'Amelio. Dopo l'arresto di Riina, in accordo con Bagarella, si pensò di riprendere le trattative con lo Stato ma quando venne arrestato Antonino Gioè (giugno 1993) il fratello consigliò di fermare le trattative perché erano intercettati, invito che non fu accolto da Bagarella. Questi decise di cambiare strategia, non tanto nella sostanza ma nella forma, impose la fine degli attentati dinamitardi in terra di Sicilia. Proseguirono così con le stragi del 1993-1994 con gli attentati di via dei Georgofili a Firenze, alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma e a Milano in via Palestro.
Contemporaneamente si fanno strada negli ambienti mafiosi dei dubbi circa l'arresto di Riina; si comincia a pensare ad un traditore interno a cosa nostra che imbeccò le forze dell'ordine per consentire l'arresto di Riina. Santi Pullarà riferì che poco prima dell'arresto del capo dei capi la moglie di Provenzano si era incontrata con la persona che venne in seguito identificata con il maresciallo Antonino Lombardo, uomo dell'arma che aveva partecipato all'arresto di Riina.
Il giorno dell'arresto di Riina doveva aver luogo una riunione tra quasi tutti i capi mandamento. Tra gli altri doveva esserci Riina, Gianluca Bagarella, Giuseppe Graviano e lo stesso Giovanni Brusca. Salvatore Biondo riuscì ad avvertire in tempo i boss dell'avvenuto arresto di Riina, consentendogli di dileguarsi. Fu proprio Brusca, insieme a Bagarella, che si fece carico del trasferimento dei famigliari di Riina che ancora si trovavano nel covo. Giovanni Sansone prelevò personalmente Gioia Antonino e Gioachino La Barbera portandoli al sicuro. Quando ci si rese conto che le forze dell'ordine non sembravano intenzionate a perquisire il covo di Riina, Bagarella disse che questa era la prova che confermava che l'arresto era “stato concordato”. Con tranquillità dunque dal covo furono recuperati vestiti, fotografie e documenti, tutto il resto venne bruciato per non lasciare tracce.
Alla specifica domanda di quale era il contenuto del papello con le richieste per lo Stato, Brusca risponde che riguardavano sopratutto il maxi processo e prevedevano una sentenza più favorevole a cosa nostra in cassazione, l'eliminazione degli ergastoli comminati, l'annullamento del sequestro dei beni confiscati, di pilotare alcuni processi come ad esempio quello a carico della famiglia Marchesi e l'applicazione per i detenuti di mafia della così detta “legge Gozzini” (che prevede numerosi benefici carcerari: permessi premio, affidamento al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà, liberazione anticipata).

Durata della registrazione 1 ora 54 min

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Si passa ora all'interrogatorio presieduto dal pm Antonino Di Matteo.
Viene sottolineato come anche Brusca si stupì della repentina esecuzione della strage di Via D'Amelio, in quel periodo infatti si era decisa una momentanea sospensione delle stragi a cui sarebbero dovuti seguire gli omicidi di altri rappresentanti dello Stato, prima dell'on. Mannino e poi del dottor Grasso. Rimane perciò un mistero su questo punto.
Si torna a parlare della questione del papello le cui proposte vennero valutate dallo Stato come eccessive e perciò respinte. Seguì la strage di via D'Amelio e successivamente il papello venne risottoposto all'attenzione dello Stato. Viene sottolineato come i contatti avuti con l'arma per la negoziazione del papello e le trattative Bellini - maresciallo Tempesta sono cose distinte ma che entrambe vengono mediate da Cinà, da Vito Ciancimino e dal generale Mario Mori. Brusca afferma di conoscere il referente finale politico istituzionale di tutte le trattative ma si avvale della facoltà di non rispondere quando gli viene chiesto di rivelarne l'identità.

Durata della registrazione 16 min

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Il giorno seguente, il 22 maggio 2009, prosegue l'esame di Brusca da parte di Mario Fontana.
Cosa nostra diede inizio alla strategia stragista avendo come obiettivo quello di eliminare le persone che risultavano scomode o di ostacolo ai suoi affari. Dopo la Strage di Capaci furono gli esponenti dello Stato che chiesero a Riina cosa voleva in cambio della fine di questa mattanza. Fu così che Riina scrisse il papello con le richieste da fare allo Stato e, nell'attesa di ricevere risposta, si decise di sospendere l'attività stragista. Quando lo Stato oppone un rifiuto alle richieste perché ritenute troppo esose si decise di riprendere con gli omicidi ma il primo obiettivo doveva essere l'on. Mannino seguito dal giudice Piero Grasso.
Via D'Amelio apparve a Brusca come un anomalia in quello che era stato deciso.
Si dice di come l'omicidio di Luigi Ilardo fu commissionato da suo cugino Giuseppe Madonia poiché si avevano fortissimi sospetti che Ilardo fosse diventato un confidente della polizia. Molte persone vicino ad Ilardo infatti furono arrestate mentre lui manteneva un comportamento ritenuto sintomo di troppa sicurezza.

Durata della registrazione 18 min

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Sempre del 22 maggio l'interrogatorio da parte del pm Antonino Di Matteo
L'“Impresa Reale” era una ditta gestita da Antonino Buscemi ed era sorta per rispondere non tanto ad esigenze imprenditoriali ma più che altro per coltivare contatti politici. La "Reale" doveva fare da collettore con il mondo politico regionale e nazionale. Riina ebbe a dire a Brusca di trattare questa ditta come se fosse di sua proprietà, non doveva assolutamente mai essere intralciata nei lavori e anzi dovevano essere facilitati i suoi rapporti con le istituzioni sopratutto attraverso appalti pubblici.
Brusca deduce da alcune dichiarazioni pubbliche del capitano Giuseppe De Donno e del generale Mario Mori che il dialogo tra mafia e istituzioni/politica, che gli ufficiali definivano opera di infiltrazione, era da riconoscersi nella persona di Vito Ciancimino e che questo rapporto collaborativo era iniziato prima dell'omicidio di Falcone.

Durata della registrazione 38 min

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